L’altissimo numero di contagi da COVID-19 ha messo in moto una corsa al vaccino che ne ha prodotto in tempi da record diverse tipologie differenti, utili a iniziare un piano vaccinale a copertura mondiale, grazie allo sforzo comune di scienziati e case farmaceutiche. Moderna e Pfizer sono ad esempio frutto di una ricerca innovativa, senza precedenti, basati sull’RNA messaggero e capaci di spingere le cellule immunitarie a produrre antigeni, a questi si aggiungono vaccini di tipo convenzionale a vettore virale come l’AstraZeneca e Johnson&Johnson.

Come ogni altro vaccino nella storia della medicina, anche questi, sebbene siano fondamentali per la protezione degli esseri umani, possono dare luogo ad alcuni effetti collaterali, nella maggior parte dei casi transitori e di minimo rilievo.

Tra questi, come illustrato in uno studio pubblicato sul sito della RSNA, Società Radiologica del Nord America, sono stati riscontrati casi di adenopatia regionale, ovvero l’ingrossamento dei linfonodi a seguito della vaccinazione convenzionale a base di vettori virali. Questa circostanza si verifica in quanto i vaccini per il COVID-19 vengono somministrati per via intramuscolare nel muscolo deltoide, dunque l’adenopatia si riscontra nella regione ascellare e sopraclavicolare, lì dove gli antigeni attivati localmente migrano dopo essersi accumulati nel punto in cui viene effettuata l’iniezione.

L’associazione tra adenopatia e vaccino diventa importante per i pazienti oncologici, sia dal punto di vista psicologico, per l’ansia generata da queste manifestazioni, sia dal punto diagnostico, in quanto è riscontrabile il rischio di sottovalutare o di trattare eccessivamente tali effetti collaterali, soprattutto in casi di cancro al seno, testa, collo, linfomi e melanomi che tendono a diffondersi in metastasi.

In questa fase in cui non ci sono dati sufficienti a fornire una casistica chiara sulla relazione tra vaccinazione e adenopatia, e dunque non è possibile sapere ancora con certezza quanto ogni tipologia di vaccino COVID-19 incida su l’ingrossamento dei linfonodi, sulla durata di tale fenomeno e come ogni singolo paziente risponde a questo effetto collaterale, sono importanti le relazioni che intercorrono tra medici e pazienti, in base al contesto clinico e ai fattori di rischio per ognuno di questi.

L’individuazione di una adenopatia legata al vaccino attraverso la diagnostica per immagini prevede dunque una serie di accortezze utili sia al radiologo che al paziente. Le informazioni sulla vaccinazione, data di ciascuna dose somministrata, sito di iniezione e il tipo di vaccino devono essere incluse in tutti i questionari pre-imaging.

Sarà inoltre fondamentale puntare alla rassicurazione dei pazienti, attraverso non solo le parole dei medici, ma anche con l’ausilio di materiale informativo che spieghi, in parole semplici e comprensive, da una parte l’importanza del vaccino, dall’altra la possibilità di incorrere in effetti collaterali come l’adenopatia, che possono provocare ansia e la necessità di esami radiologici. Rassicurare i pazienti sulla possibilità che i linfonodi risultino ingrossati a seguito della vaccinazione, andrà di pari passo con campagne informative che invitino a eseguire una mammografia 6 settimane dopo il completamento delle operazioni di vaccino per i pazienti che non hanno sintomatologia al seno, e un richiamo per i pazienti oncologici a non ritardare le visite opportune.

Per ogni ulteriore approfondimento vi rimandiamo allo studio pubblicato sul sito della RSNA.